la zia matilde è ancora qui con me (Mani di porcellana- 2004)

 "Mani di porcellana."
 
Mi avvio a passo deciso verso il teatro. Debbo fare un provino, e come al solito provino o spettacolo ho il cuore in gola, ma sono contento.
Come testo la Medea mi è sempre stato un po’ antipatico, sarà lei che non mi piace, una che uccide i figli.
 Forse questa leggera antipatia deriva da questo ma se mi prendono per la parte di Giasone sarà una bella cosa.
Figurati se mi prendono… ma si… chissà..forse…….

Improvvisamente squilla il cellulare, è la voce di mio padre.
“Corri, è ancora cosciente ma se ne sta andando.”
Mollo tutto per tornare verso il parcheggio e dirigermi verso casa della zia Matilde che da mesi lotta contro un brutto male. Getto il copione sul sedile posteriore e mentre guido mille pensieri affollano la mia mente, non vedo l’ora di arrivare. Sono andato spesso a trovarla in questi ultimi tempi e ogni volta la zia del sorriso mi ha accolto felice anche se con il viso sempre più scavato, facendo la spola tra il suo letto e la poltrona.

“Hai visto il suo viso”?
Già…. ne abbiamo parlato spesso negli ultimi tempi, la malattia lascia il segno come Zorro con la sua spada.
Arrivo e trovo mio padre che mi chiede se mia madre sa che sua sorella sta male. Lo rassicuro, mia madre le telefonò un mese fa ma siccome non è stupida mi disse:
“Sai ho chiamato tua zia, aveva una voce strana…ma lei mi ha detto che aveva un po’ di mal di gola.”
Mitica … non le ha detto niente  sapendo che mia madre è un pò apprensiva e che con il caldo va in depressione. Mia madre pur avendo inizialmente intuito che c’era qualcosa che non andava, l’ha bevuta per ora, ma non durerà, bisognerà dirle le cose come stanno e sarò io ad avere questo compito ingrato.

Entro nella stanza. La zia è con gli occhi semichiusi e respira a fatica.
“Sono Stefano come stai?”
Nulla, continua ad ansimare.
Mi avvicino per farmi sentire.
”CIAO ZIA SONO STEFANO COME VA?”
Lei si scuote girando leggermente la testa nella mia direzione.
“SONO STEFANO”
La sua mano si muove, si alza lentamente a mezz’aria in segno di saluto, non riesce a parlare ma mi ha riconosciuto.
“ALLORA…ECCOCI QUI. CI RIMETTIAMO IN SESTO EH?”
Non so che cazzo dire impalato lì come un cretino.
Torno con gli altri parenti nel salone, è inutile stare tutti in quella stanza anche perché la zia “sente” i discorsi.
Meglio allontanarci, l’infermiera ha il suo da fare con l’ossigeno.
I medici hanno detto che se supera la notte può farcela anche se al massimo gli danno ancora una settimana di vita.
Dopo aver parlato con mia cugina che non vedevo da tanto mi accorgo che sto pensando che è diventata una bella figa vergognandomi immediatamente visto il contesto, ma ciò è dovuto al fatto che vorrei fuggire da quell’atmosfera grave e triste che mi fa paura. 
Si fa sera, mio padre vuol restare solo con lei, è tempo di andare.
Tornato a casa non faccio in tempo a mangiare un boccone che la telefonata dell’annuncio della morte di Matilde mi coglie in piedi con la cornetta in mano.
Non si è mai pronti, nemmeno quando sai che succederà.
Ancora non realizzo ma scendo per le scale di corsa per salire di nuovo in auto.
Lo stesso tragitto, la stessa meta, ma con un peso sullo stomaco.
 Quando la porta dell’appartamento si spalanca c’è solo silenzio e dopo aver abbracciato mio padre,
mi affaccio sulla soglia della sua stanza circospetto, commosso e triste.
Solo un’ora prima c’era un essere umano che lottava per sopravvivere, ora la bombola d’ossigeno è stata riposta in un angolo mentre Matilde è immobile sul letto.
C’è chi non vuole entrare nella stanza ma un qualcosa che non riesco a spiegare mi spinge a varcarne la soglia.
Ho sempre avuto paura dei morti, non è un bello spettacolo, mi vengono in mente altri defunti del passato ed io più giovane che lanciavo solo un occhiata fugace tenendomi a distanza. Ma stavolta c’è qualcosa di diverso, lo sento, mentre sono immobile sulla soglia di quella porta.
Faccio un passo in direzione del letto mentre le voci degli altri mi arrivano dal salone, loro l’hanno già salutata.
Eccola lì Matilde. Che strano, ha il viso rilassato e sembra essere tornata lei, la zia di sempre,
non ha più quel volto scavato dalla malattia come se la morte portandosi via il corpo ne restituisse almeno nei lineamenti, l’aspetto originario.
 Matilde sembra quella di prima in viso, prima che si ammalasse, somiglia molto di più a quello che era adesso che è morta piuttosto
 che quando era viva e ammalata negli ultimi mesi, incredibile.
 Faccio un altro passo verso il letto e resto immobile mentre i ricordi spaziano nella mia mente.
Le osservo i capelli bianchi.

Solo un ora prima ero preoccupato ed adesso una lacrima scende sul pizzetto bagnandolo di dolore in una stanza che sembra in smobilitazione senza più quell’atmosfera di emergenza per chi non sta bene. Ormai bisogna aspettare solo i becchini ed anche se non siamo nel west hanno sempre la stessa faccia ma non è colpa loro.
Faccio ancora due passi in avanti, sono al bordo del letto, ora la vedo bene.
Vorrei farle un carezza.
Come sarà il tatto con una persona morta? Non so ma l’affetto che provo per lei spinge la mia mano in una tenera carezza sulla fronte.

 E’ ancora calda, sembra che non ci sia nulla di diverso dal solito a parte il colorito del corpo, un bianco angosciante.
 Mi siedo ai bordi del letto restando in silenzio.

Le prendo la mano.
Vorrei raccontarle la storia della sua vita.

Mi vengono in mente tanti episodi, tante occasioni, ricordi in bianco e nero.
La zia Matilde, la zia del sorriso. Ha avuto un solo amore nella sua vita, solo uno importante e dopo quello non ne ha più voluti.

 Leo….. così si chiamava..era un quarantenne come sono io oggi. Una macchina sportiva, un duetto.
Anche lui sempre allegro e pronto alla battuta.
Dopo l’incidente in auto che negli anni 60 se lo portò via lei non ha più voluto amori, a parte qualche episodio.
“Come si dice oggi? Single?”
Era rimasta zitella e ci scherzava sempre su, in fondo a lei anima libera, stava bene così.
La zia delle belle sorprese…
Veniva sempre quando meno me l’aspettavo e magari quando mi trovavo in una situazione nella quale non volevo stare.
Spesso quando ero alle elementari e facevo il doposcuola arrivava e mi portava via prima, una corsa verso la campagna con la sua fiat 850 dove trovavo un mare di suoi amici e amiche compresa la sua amica del cuore, zia Giulia. Sì perché tutte le sue amiche lei mi diceva di chiamarle zie, si vede che era molto legata a loro.
Al mare, la Ostia degli anni 60, zia mi portava allo stabilimento dell’Aci, chissà se c’è ancora, e io affascinato dalle ruote del trampolino del mitico Kursaal mi eclissavo per qualche ora correndo verso quei mattoni rossi costringendola a venirmi a cercare.
Che pacchia con Zia Matilde! Facevo come mi pareva.
 L’unico vantaggio dal 71 in poi, anno della separazione dei miei, era quello di avere un mese in più di vacanza.
Uno con mio padre, uno con mia madre e uno con la Zia Matilde che portava con sé il suo unico nipote.
Si ora ricordo..il suo sorriso sulla seggiovia.

"CIAOOOOOOO!!!!!!!

Mi salutava dal seggiolino più avanti con un sorriso smagliante e gli occhiali da sole. Poi quella volta in Sardegna quando ci trovavamo in mezzo a quella meravigliosa mandria di cavalli mentre lei filmava tutto con il vecchio super 8.
Sembra preistoria, e allo stesso tempo sembra ieri.

“Bersagliere Jacurti in porta centrale per visita parenti.”
Una voce all’altoparlante.

“Chi sarà? Zia…. ma che ci fai qui?”
“Sono qui per lavoro mi fermo qualche giorno.”
“Che sorpresa!”
E via con la visita parenti! Rinunciare per qualche giorno a correre dietro alle minigonne delle ragazze quando ero in libera uscita?

Che cosa me ne fregava, con lei stavo bene, non mi annoiavo mai, era Zia Matilde.

Le tengo la mano e un’altra lacrima spunta silenziosa. 

Il giorno dopo Matilde si presentò di nuovo in porta centrale pensando ingenuamente che ogni volta fosse venuta in caserma io sarei potuto uscire prima.

Troppo forte Matilde.

“SUA ZIA HA ROTTO I COGLIONI QUI NON SIAMO IN ALBERGO!”

Quante volte ci abbiamo riso sopra ricordando quell’episodio della naja di Albenga.
Le feste che faceva da giovane…. e io che abitavo a Trastevere nelle stesso palazzo, salivo le rampe della sue scale perché volevo andare a curiosare tra le coppie che ballavano al ritmo di un vecchio giradischi.
Lei, che aveva tanti amici si divertiva un mondo, quell’Italia si divertiva un mondo.

Una volta andammo al cinema.
Il film era “In viaggio con la zia”
Una vecchietta arzilla coinvolge suo nipote e se ne va on the road a cercare l’unico uomo che ha amato in vita sua.
Sentivamo quel film nostro.
Con lei momenti in un mondo diverso, stare lontano per qualche ora dagli amici, dalle partite di calcetto, da chi rimorchiamo stasera, dalle passioni più serie e coinvolgenti dei vent’anni. Un caffè preso dopo il lavoro quando ogni tanto mi ricordavo di passare, un suo messaggio in segreteria tra i tanti messaggi del quotidiano.
Erano voci diverse, ma solo una mi chiamava a modo suo…

"Ciao Ste, debbo farti leggere un testo che ho scritto, a presto."
"Lei ha vinto un corso d’inglese.",
"Ciao che fai allora? la vediamo insieme sta partita?"
"Ciao Stefanì sono zia, quando passi a trovarmi?"
e io che sorridevo, ancora mi chiamava così da quando avevo quattordici anni, e a volte mi incazzavo.

Le osservo le mani, sono bianche e levigate, sembrano di porcellana.

Mi protendo verso di lei.

Sto abbracciando un cadavere ma non mi importa nulla, non mi fa nessun effetto e se me l’avessero raccontato non ci avrei creduto.

A tutto penso meno che a questo perchè le ho voluto bene.
Mani di porcellana, dormi serena e riposa in pace.
Oggi è festa a Roma, è San Pietro e Paolo e come Sant’Ambrogio a Milano, è festa solo da noi.
Si odono i fuochi d’artificio fin qui. L’infermiera ci ha detto che qualche giorno prima Matilde aveva espresso il desiderio di morire proprio oggi.
“Sarà festa e per me che sono sempre allegra, sarebbe bello morire tra qualche giorno.”
lo aveva detto proprio tre giorni prima, quando mio padre che le aveva riparato il vecchio stereo,
l’aveva vista ballare con il suo bastone.
L’ultimo ballo.
"E piantala!" con mio padre che rideva forzatamente.
Così ha fatto mani di porcellana.
Ha aspettato la sera, ha aspettato che ce ne fossimo andati tutti, quei quattro gatti di parenti che siamo rimasti
 e intorno alle venti e trenta se n’è andata vicino a suo fratello e nella sua casa. In cielo i fuochi d’artificio.
Se n’è andata portandosi via quella voce un po’ roca, la Sandro Ciotti della famiglia.
Se n’è andata portandosi via pregi e difetti, capricci e tenerezze, allegria e stravaganza.

Meglio che vada ora. Lancio un ultimo saluto a Matilde, mi commiato da tutti e con mio padre non trovo le parole.

 Dovrò stargli vicino.
Bisogna andare avanti, sarà una settimana di merda ma bisogna farlo.
Ci saranno anche i suoi amici ai funerali, sono più loro che noi, i suoi parenti più stretti ma sono contento dell’affetto che questa gente prova per lei.

Un messaggio sul cellulare:
Ciao! Allora come è andato il provino?
Spengo il telefonino, fanculo Medea.

 
(dalla raccolta Distacchi e sorrisi- Stefano Jacurti)

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2 risposte a la zia matilde è ancora qui con me (Mani di porcellana- 2004)

  1. rimavial ha detto:

    Ciao Stefano, anche se nella sua drammaticità è invece un testo cosi dolce e tenero pieno di tanto amore vero. Cosa dire solo commuovente tocca il cuore. Poi vedi la coincidenza leggo  questa storia proprio la vigilia dell\’anniversario della morte di mia madre. Rivivo questo identico momento. Ciao Rimavial

  2. ALEX ha detto:

    ti ringrazio, e forza e coraggio, i nostri cari ci sono vicini. Sentiamoli, ascoltiamo cosa hanno da dirci, lanciano dal pianeta terra un sorriso d\’affetto per loro.
    Stefano

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